Marina Wiesendanger's
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  03/01/2008; 11.50.26


giovedì 3 gennaio 2008


Hai detto che il 3 dovevo venire a mangiare due spaghettini fatti dalla tua cameriera che sarebbe tornata dalle vacanze. Seduti, hai detto, serviti e coccolati senza che andiate voi signore sempre in piedi, in cucina a fare una specie di gara. Venite, mangiamo sereni e tranquilli. Ok, ho detto io, volentieri. Luciana annuiva. Lo dico a Kobi. Avevamo fatto quel gioco, la caccia al tesoro, con tanti amici, tutti un po’ su con l’età come noi. Carini come bambini, seri e un po’ preoccupati di non sapere trovare la quercia col fico vicino e, ma come? farsi una foto con un cane??! Eppure l’abbiamo tutti trovato, e chi non l’ha visto, chi era? si è comprato un peluche e si è ritratto con quello. Ammesso! Tu e lei secondi, ma moralmente primi, ha dichiarato Luciana contenta. E tu, la tua foto, hai detto a Luciana che, siccome era venuta benissimo lei col maremmano sdraiato ai suoi piedi, gliela avresti ingrandita. E l’hai fatto, e pure portata. Poi ti sei sparato. Al tramonto, sul prato, davanti alla casa. Erano venuti per te da Milano i figli con i nipotini. Sparato al cuore, non alla testa. Capisco. Ma se a Natale da Aline, tutti contenti in quella bella tavola, amici che stanno insieme con gioia, tu mi hai detto che fumare fa male. E spararsi allora? E io per cambiare discorso ti ho rimproverato di perdere tutte le mie poche feste che faccio a Milano quando ci siamo. E allora tu, accidenti, mi hai detto, non voglio perderle più! Tieni, ecco il mio nuovo biglietto da visita, il cellulare è cambiato. E Kobi lo ha messo via bene, serio, nel suo portafoglio. Adesso vorrei ancora qualche minuto da te, potere tornare all’indietro e dirti del libro che ho letto. Dirti che siamo tutti qui per morire, ti accorgi? Ma un po’ di tempo ancora non può fare che bene e bisogna pazientare tranquilli, tanto poi arriva il momento. Senza far male a tutti quelli che ti volevano bene e vorrebbero ancora parlare con te. Io non ti volevo bene, non ancora, ti conosco da poco come uomo perbene, simpatico sempre, e signore, gentile e divertente e veloce di testa. A Otranto quest’autunno ci siamo divertiti moltissimo nei paesini che Kobi cannava regolarmente e tu, “venitemi dietro, ho il navigatore.” Ma quello impazziva per le contrade e finivamo spesso davanti al mare al buio o davanti a due vecchi seduti sulla porta di casa che davano, insieme agitando le mani, due indicazioni diverse. Abbiamo riso mica male. Poi a tavola, mangiato e bevuto parecchio. Tu non fumavi. Questa, mi devi scusare, non riesco a perdonartela. Ma come. Mi agita tanto non poterti parlare che lo faccio lo stesso. Ti dico, ma lo sai che la morte non è una porta sbattuta in faccia? Si apre, non devi spingere niente, si apre quando ha deciso di aprirsi. Quando e non se. Non c’è fretta da avere. Tu hai forse pensato che poi non c’è niente. E allora siamo una massa di vittime che stiamo qui a perdere tempo aspettando il boia che viene per tutti. Non è possibile, non lo capisci? Generazioni, anzi tutti gli amici che hai, e anche gli sconosciuti, e i milioni che si radunano, perfino quelli che vedi alla televisione. I bambini i vecchi, gli estremi, tutti, se ci dai tempo, arriviamo. Non è una scelta, è semplicemente così. Ti stimo da un po’, e mi vengono in mente gli anni che so tu hai passato con tua moglie malata. Venti. La coscienza dentro di te si deve essere separata, intontita di dolore, una massa piagata che tu nascondevi. Ho capito stasera che il dolore non innalza nessuno, anzi ci schiaccia e ci rende confusi. Ma proprio questo è il momento dove io ti voglio attaccare e ti dico che è giusto rifiutare il dolore quando ti seppellisce e dirsi che no, non può essere solo così, non bisogna subire ma vedere, oh dio, vedere! almeno intuire sperare volere fortemente vedere un progetto, il progetto aldilà della vita, questa che conosciamo. Ma, se non un amico, non c’era un prete a cui domandare? Uno con le palle, un professionista, uno ben pagato e ben istruito e allenato, come i nostri giocatori di calcio, uno a cui bussare e chiedere, buongiorno, Reverendo, scusi l’ora ma potrebbe indicarmi Dio in tutto questo? Perché, vede, sono molto malato di dentro, ho paura e non credo di farcela. C’è? Dove? Mi può far parlare con lui o, se ora è occupato, spiegarmi il mistero? Capirei, anche se le forze in questo momento son poche, sa io sono ingegnere e la ricerca mi piace, è il mio lavoro. Se solo volesse indicarmi, farmi questo piacere.. Perché sono stanco e mi vengono brutti pensieri e ancora mi sento morire d’amore. Non c’era nessuno. Noi eravamo lì, tutti, ma dicevamo sciocchezze. Non una parola profonda. Eppure... quel libro che vorrei leggerti adesso, io avevo cominciato a parlarne a Luciana, che era con te. Ma poi, lì nel prato, con in mano lo champagne e quel prosciuttino, e attenti a vedere i concorrenti in ritardo arrivare... parlare di morte mi sembrava sbagliato, cioè inopportuno. Stupida, sono stata. Dovrei sempre dar retta all’istinto. E tu troppo di fretta. E noi con un male adesso di dentro che non passa, in nessuna cosa che faccio. Mi dispiace tanto. Non ti giudico, guarda, non lo faccio. Magari sei malato e il medico te lo ha detto al telefono. Hai lasciato tutte le indicazioni per bene, il notaio due lettere di persone da contattare a Milano, ricordarsi che la tata arriva col treno a Chiusi alle quindici domani. Sono sicura che non verrai giudicato ma accolto con amore. Come è giusto che sia. Quella trasmissione tv, sai che ne parlavamo, dei quiz, dove si può col telefonino rispondere e anche vincere. Quella che, ti dicevo, mi ha preso abbastanza da farmi trovare lì col coso acceso alle 7 di sera. La domanda stavolta era: Dante, dove mette Adamo nella Divina Commedia? E i due concorrenti hanno sbagliato insieme. Uno ha detto all’inferno, l’altro al purgatorio. Due cretini, non ti pare? Intanto Dante non è uno da manfrina, è un tipo deciso, e così il purgatorio è bello che escluso. Quello che detto l’inferno, l’avrei schiaffeggiato. Ma come, Dio lo crea, lo lascia sbagliare, lo caccia per insegnargli quello che da solo non aveva capito - e, pardon, non è che lo ha fatto un tantino deficiente per caso? È la colpa di chi? - e poi non lo accoglie con sé? E non gli chiede un po’ scusa cullandolo con amore, accarezzandogli il testone non sommo, dicendogli, sei piccolino, ma qui c’è il tuo papà, adesso andrà meglio, vedrai. Non è così ? Fabrizio, caro amico di pochi mesi. E’ così di sicuro e tu mi fai piangere adesso.

Ti dedico questo con un dolore stranito : “…Me ne restai lì, davanti alla tomba del mio amico …e mi guardai attorno, e il verde dell’erba mi parve un travestimento, la faccia visibile che ci mostra la terra in un tentativo insieme perverso e protettore di non lasciarci comprendere che lei è tappeto da un lato e coperta dall’altro, appena una sottile frontiera .. “
12:19:27 AM    comment []


© Copyright 2008 Marina Wiesendanger.
 


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