Siamo così aperti a tutto in campagna. Non a tutti però. Sentivo il bisogno di qualche cosa che mi avvisasse della venuta di umani.
Troppe volte nel silenzio del verde ho sobbalzato urlando “aargh! I Pinelli! E come state, e ccosa ci fate qui da me?”
Si rischia, a essere presi così alla sprovvista, di non essere gentili. L’urlo strozzato dello spavento non ti fa pronunciare parole di
gioia nel vedere un amico improvviso.
Beh, quell’amico lo voglio annunciato. Un campanello? Chiedo a Kobi. Dove? Studiamo.
Non è semplice qui in aperta campagna. Arriva l’elettricista e parlano loro due uomini di questo mio nuovo bisogno.
Risultato, il primo: è che ora c’è un paletto bruttissimo al fianco della discesa. In cima, un coso di plastica grigia, il campanello.
E io che l’avevo immaginato argentino! Pazienza. Dice Kobi che con quell’affare al Moma non andiamo di certo quest’anno..
Penserò io poi a camuffarlo in un modo un po’ più accettabile.
Eeh, mi dicono, attenta! Attenta ai sensori. Son delicati.
Starò attenta, prometto. E già sono contenta che tutto si sia risolto così in fretta, ora avviene la prova, che tiene conto della distanza da terra
in modo che il gatto e la gatta passino come sempre senza annunciarsi col trillo. Come i conigli e i cinghiali. Ok.
Lo sento! Corro a vedere. E’ l’elettricista che se ne va. Il campanello ha suonato. Perché?
Meglio, se suona anche quando se ne vanno, così sono sicura che sono veramente partiti.
Arriva Kobi dal paese. Non suona. Però, quando riparte perché ha dimenticato il giornale,
sì che suona! Un allarme britannico, con la guida a destra, spiega lui, gli infrarossi non reagiscono
se la faccia del guidatore non è proprio vicina. Quando sale, la faccia praticamente lo sfiora,
l’allarme. Quando scende.. peccato, è troppo lontana.
Ritorna l’elettricista. All’improvviso e senz’annuncio, naturalmente. Ridono e parlano. Questa volta intervengo da subito
per fare presente che a) sono un po’ sorda, lo squillo lo devo sentire e b) meglio se suona per 30 secondi, in modo da avere
una chance di poterci far caso.
Ecco, lo sento. Suona meglio davvero! È l’elettricista che se ne va.
Più tardi nel pomeriggio, siamo nella stanza di mezzo. Che appunto è in mezzo alla casa, e io dico,
amore senti qualcosa? Sì, dice lui, è il vento.
Poi troviamo, nel bagno che come tutte le stanze ha l’uscio spalancato sul verde, vicino al mio cestino che contiene sigarette occhiali
e una banconota da 50 euro, non lontano dal portafoglio di Kobi, dalla mia collanina del compleanno fatta di perline e, oh toh!. campanelli d’oro
che tintinnano al collo, e quasi a nascondere il rolex di Kobi, troviamo, dicevo, un foglietto che ci hanno portato a mano giù dal paese che dice
“Confraternita di Paciano. A tutti i cittadini si ricorda che il 19 di ottobre” eccetera.
E’ tornato, l’elettricista. Il suono non fa abbastanza rumore anche se ora suona sia a sinistra che a destra. Ha lavorato senza parlare.
Ora, proprio ora che il sole va giù, ho annaffiato. Ero lì alla serra alta, che sta a pochi metri dal campanello. Che oggi aveva suonato come un matto,
ma non era venuto nessuno. Che corse che ho fatto! Poi mi sono perfino tuffata in piscina dal caldo che ho preso, su e giù!
Annaffio, e lui lì vicino, mi suona argentino. Non c’è nessuno. Accidenti. Ancora. Vado di fianco e qualcuno, sì, c’è. Una farfalla di media misura,
una cosa di tre centimetri, forse quattro contando l’apertura alare, che senza volere, volando, ha fatto suonare l’allarme. Eh ma adesso ha capito cos’è.
E allora passa e ripassa per sentire quel bel suono argentino.
Vedo Kobi che spunta tra le frasche interrogativo. No non venire neppure, gli urlo, a ricevere qui basto io.
( continua?)
6:31:32 PM
|