Marina Wiesendanger's Radio Weblog



Marina Wiesendanger's Radio Weblog

domenica 7 gennaio 2007


 

 

RICETTE DI CHEF

 

 A nessuno, né a me, è chiaro perché vengano a casa nostra più chefs che idraulici.

Non capisco le loro ragioni profonde ma succede così.  Quattro ne ho contati quest’anno.

No, cinque, c’era pure un enologo, un altro caro amico pieno di bottiglie di vino pregiato.

Si beve e si mangia e ci sono ricette:

agnello in salsa di vino

ravioli con passato di ceci

scalogni caramellati

la cottura della vera  bistecca chianina 

 

 

L’ultimo chef dorme, in questo momento, il sonno del giusto.  E’ giusto davvero, ha lavorato tanto cibo in tre giorni quanto almeno nel suo ristorante.  Per quattro persone!  E noi siamo piacevolmente ingrassati tre chili.  L’orario spagnolo è forse quello che gli piace di più.  Mangiamo alle quattro del pomeriggio,  riprendiamo alle undici,  finiamo alla una di notte, beviamo tanto, e vino buono che ci andiamo a scegliere, accuratamente, alle cantine di Montepulciano, la Crociani per esempio.  Il suo Nobile, fatto nostro, sparisce come se avessimo sete.  Lui si chiama Nicola, cognome Cavallaro, ha un ristorante sui Navigli a Milano dove, dopo neppure un anno di proprietà, la Michelin gli ha affibbiato un paio di forchette incrociate.  

E’ giovane, poco più di trentanni.  Ha un’aria di forza, un collo da giovane toro.  La faccia è chiara, bella pelle bianca soffusa di rosa quando si scalda a parlare, gli occhi lì dentro la faccia sono celesti.  Capelli corti, assurdamente sale e pepe, ti guarda con aria innocente.  Il corpo è forte, e anche la mente.

Ha visto già il mondo per lungo e per largo.  Ha imparato il mestiere per mare, sulle navi da crociera, poi su barche private di quelle con l’elicottero pronto sul ponte.  E’ stato a Londra, Miami, Bogotà,  a cucinare per ristoranti e tipi diversi.  A New York da Cipriani.  Va in Nuova Zelanda ogni anno d’agosto invece di fare vacanza, lavora e cerca il sale, forse il primo che ha fatto di questa ricerca una scienza.  Mi manderà quello rosso, ha promesso.  Con un certo pepe che, mi ha detto, non posso sapere... Gli è piaciuto trovare da me quello di Setchuan e comincia a viziarmi, a progettare di mettermi in casa quello che non sapevo esistesse. Vedo già i pacchettini postali che arriveranno, con dentro delizie.  Lo guardo nella mia cucina dove, dichiarano questi fior di chefs, c’è tutto e di più che da loro..  Mi sembra strano, ma, se lo dicono, deve esserci qualcosa di vero.  

“  Chissà se hai zafferano.”

  Certo, il vasetto è lì dietro, il mio, ho un campetto.”

“  C’è una gelatina  per il bollito?”   

"  Melograno – rispondo-  l’ho fatta a novembre”

  È questa?” 

"  No, quella è il ribes di giugno.”  

“  Mmm”

  E’ troppo chiedere se hai due scalogni. “   

"  No, vedi lì nel cestino, di fianco alle patate.”

E via così.  E’ vero che diventano tutti di buonumore, agitando il coriandolo e aprendo la busta di agar.  O di agar agar, c’è  unagran differenza! 

“ La sai?”

“ Signor nò!”

“ il primo si scioglie a circa 70 gradi, una super scoperta di Ferran Adrià.  Il secondo più o meno a 35°  ed è gelatina naturale,  appena  appena lavorato in polvere “

“Ah ha.”

Cucina, e vedo che  quello che ha in più di qualsiasi altro è l’energia.  Lui  guarda la salsa, e lei sobbolle.  Nel forno sono certa l’arrosto si giri da solo. 

E’ un nuovo giovane Mozart, è nato imparato.

Ha appena assestato un cibo che ora deve solo cuocere, e subito fa un’altra cosa, i ravioli per esempio.

Farina e uova, sale,  ripieno di formaggio di capra con i nostri spinaci dell’orto di serra, pepe, grattuggiatina di scorza d’arancio, ah come amerò quel sapore più tardi affondando i denti in un grande raviolo!..

 La salsa, olio aglio ceci brodo, 3 filetti d’acciuga, poi tutto passato al chinois.   Che buono davvero, la pasta gialla e spessa per questa ricetta, quando la mordi quella cremina di ceci entra profonda e avvolge il ripieno con odore d’arancio e tu..  beh tu sei contenta.

Questa notte ha fatto un cosciotto d’agnello al forno in salsa di vino, lo stesso Nobile, contorno di patate arrostite e scalogni caramellati.  Lui tocca la carne come io faccio con il mio gatto, cioè dappertutto, cerca la consistenza, l’età le venature i filamenti di grasso. Quando lo conosce come un parente, lo disossa, gli toglie il codino e leva quello che deve scartare.  Lo farcisce con sale pepe e pancetta, lo lega, e me lo ha insegnato fino a che l’ho imparato.  Poi lo rosola bene dovunque, solo dopo aggiunge il trio carota sedano cipolla a pezzi.  Questi tre arrivano sempre come i re Magi, ormai lo so: dopo.  E via in forno a 150° per due ore abbondanti, nel suo vino, che è mezzo litro.   Lo copre, lo guarda ogni tanto, lo gira.

   La salsa  al vino è andata così:  ha tostato e rosolato  in un filo d’olio le ossa, il codino, gli scarti in una  pentola media.  Poi anche qui carota sedano e cipolla,  rosola ancora fino ad avere le verdure caramellate.   Allora mette un cucchiaino, anche mezzo di concentrato di pomodoro,  uno di farina, cuoce ancora.  Quando è tostata ci mette due litri di acqua.  Un rametto di timo, uno di rosmarino che si trova davanti alla porta della cucina, una foglia di alloro.  E per tre ore lascia sobbollire fino a ridurre dell’ottanta per cento.  Poi verrà passato al chinois, il mio, che gli piace da matti perché è piccolino, lui dice.  Di fianco, in un pentolino, qualche scalogno a pezzi, un bicchiere di rosso , lo riduce con calma di due terzi, aggiunge un po’ di brodo, ancora ridotto di due terzi fino a che è salsa.   Si uniranno poi le salse, ed è una cosa squisita sull’agnello che è morbido e saporito, trattato e nappato così. 

Intanto ha messo in un pentolino d’acciaio una fetta di burro,  tre volte più  grande di quella che spalmi sul pane per il caffè di mattina., sette scalogni e acqua a coprire e poi un cucchiaione di zucchero, non raso, ma a piramide.  Lo porta a bollore, lo abbassa e cuoce finché tutto il liquido è evaporato.  Questo ultimo per me è già un pasto squisito..

Intanto lievita una focaccia che – mi ero distratta un momento- aveva impastato. 

Taglia le patate a pezzi, le rosola d’oro, e via in forno sotto l’agnello.

Lui, mi dice, ha vissuto da piccolo vicino a un camino.  I suoi hanno un allevamento di bestie da carne, da milletrecento a duemila capi.  La vendono dovunque in Italia, anche qui in Umbria e Toscana.  E’ così che ha imparato ogni base di cottura,  la griglia  sulle fiamme per lui è una seconda natura.

Ora sta facendo progetti per noi, una griglia americana che dovremmo tenere.

 “ Perché c’è più gusto in cucina, mi dice, un galletto veramente ruspante dove lo cuoci altrimenti?”

"  Già, dove? " 

“  Sai fare la vera chinina ?”  mi chiede.

Perbacco, no.

“Deve essere quella che trovi qui a Chiusi, da Manieri, famoso in Italia”   Lui, Piero Manieri,  in  macelleria ha la televisione dove ti mostra la  mucca che compri. Da viva.

"  Un chilo, alta tre dita delle mie, non tue.  La metti sulle braci un quarto d’ora per parte, senza toccarla che per girarla una volta.  Ora la appoggi in piedi, sull’osso per venti minuti.  E’ pronta.”

Vale il viaggio a Chiusi.  E valgono queste amicizie belle grandi ed esperte.  Vale proprio la pena di

avere questi ospiti, e poi, come si dice in latino - loro hanno sempre ragione in una sola parola-

“Vale”.

 

 

 

 


8:59:46 PM    comment []



© Copyright 2007 Marina Wiesendanger. Click here to send an email to the editor of this weblog.
Last update: 09/04/2007; 0.23.36.