Marina Wiesendanger's
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  05/10/2006; 17.10.55


giovedì 14 settembre 2006


 

Settembre, cinema, che bello. Di corsa a vedere il nuovo film di Kim Ki- Duk, Time.

Dopo  il meraviglioso perfetto mondo di Primavera Estate Autunno Inverno e ancora Primavera,

un capolavoro di immagini e significati fatti scorrere in molto silenzio, credo che tanti come me

ci tenessero a vedere subito l’ultimo lavoro del regista.

E infatti era pieno, alle 15, 30.

 

Mentre scorrevano le prime immagini di un mondo moderno orientale – non so dire dove, Corea?

Cina? – fatto di gente giovane, ragazze e ragazzi, mi veniva chissà perchè in mente quella pubblicità di una automobile, dove si vedono giovani mamme aggressive che praticano una forma di furibonda arte marziale. Uno spot che mi piace, mi vien voglia di copiarle,  e in cui non si può non notare che a)  le donne hanno tutte i capelli lunghi, tre colori stavolta, oltre che biondo anche nero e rosso rame. Una sola li ha corti, è grassa e vestita male. Non può essere una svista del regista.

b) la marca dell’auto, quella va persa  nella memoria a meno di averla già o di volerla comprare. Che snob questi pubblicitari.

Mi è venuto in mente perché le ragazze cinesi le trovavo tanto simili tra loro . E non potevo pensare piu’ preciso di così, perché è venuto fuori che era quello il tema del film!

Si assomigliano talmente in faccia e nei capelli che diventano gelose di qualsiasi altra ragazza , solo perché l’altra, sulla base della similitudine, potrebbe presentare una differenza che, pur piccola, potrebbe distrarre e  incuriosire il giovane amato.  

La soluzione in modern time: chirurgia plastica, facile come entrare in un negozio, io lo farei domani ma sono pigra, infatti dovrei scrivermelo in rosso.

Beh, invece non funziona. Perché tutte quelle ragazze con lo stesso corpo grazioso, asciutto, le stesse canottiere , stessi occhi e bocche e capelli, soprattutto capelli che sono la corona e la cornice in cui sono costrette, schiavitu’ di questi tempi, sono passate dal negozio che vende lineamenti nuovi. Entrano, quasi uguali tra loro solo leggermente diverse, escono quasi diverse ma con un che di troppo uguale.

La soluzione finale è “rendersi irriconoscibili”

Un film triste, così moderno, con appartamenti piccoli e ordinati che si possono svuotare in un’ora.

Un parco sul mare con sculture, icone d’amore che mostrano corpi  di marmo e di ferro che si conoscono, mani, sentimenti di vicinanza. Cose che nel film non si cercano, perché mai si dà peso alla relazione e la conoscenza tra due corpi, o tra due caratteri o almeno due cuori. Si tratta solo di faccia e capelli indistinti.  Una vita veloce tra brevi relazioni e scopate improrogabili, la parola amore usata per una sera. Lagrime per cose che neppure sono successe.

Il film Primavera eccetera parlava di tradizione. Questo parla della sua assenza e galleggia nel vuoto

di una coscienza da grande magazzino, un po’ ignorante troppo giovane molto piu’ disperata di quanto non si accorga d’essere.

 

Per la scena finale  la macchina da presa si allarga su decine, e poi centinaia  o migliaia di volti di ragazze piu’ o meno uguali.

Uno sballo.

 

Gentile il regista che se l’è presa con la sua gente.

Nessuna bionda magra con le mechès, stessi seni jeans scesi e nasino e bocca piena.

 

 

 


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© Copyright 2006 Marina Wiesendanger.
 


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