Marina Wiesendanger's
Radio Weblog

  13/01/2006; 17.35.20


sabato 3 settembre 2005


Ho aperto la porta della masseria, c'è un vento di scirocco che mi porta via, potrei volare in albania.
Albània, dicono qua.

L'altra sera era maestrale, vedevo le luci di là.
Sono uscita per la luna..non dico altro perchè non so fare le poesie. Però era rosa.

Anche, sono uscita mentre ero connessa a internet, per convincermi che questo gprs continua
a costare 25 euro al mese, non importa se è in funzione tanto, basta che sia dalle 6 di sera
alle 9 di mattina.
Il tuo orario! ha detto Kobi.
E sabato e domenica, come per pubblico impiego, libera!
posso aprire il comp alle 18 e chiuderlo alle 9 di lunedì mattina.
Posso usarlo in treno,
in piscina (anno prossimo) al mare e in macchina, in cortile e nella serra.
Posso ricevere sms a questo nuovo numero di telefono che ho, e che non so dove andare
a leggermelo. Quando lo trovo lo scrivo qui, magari qualcuno mi scrive.
Potrei anche togliere la scheda dal comp e metterla nel cell, sempre per 25  eu.. non credo
di farcela. 
Beh, bello. Lento lento a pubblicare, ma io ho fretta? no, solo di parlare, mica di leggermi.
Posso leggere con calma i blogs che mi piacciono, e che non so linkare.
Non ho piu' l'età per capire come si fanno molte cose in rete. Linkerei volentieri,
gli amici che mi piacciono e quelli che non conosco e mi piacciono lo stesso.
Potrei fare copiaincolla dei miei preferiti.
non provo niente di tutte queste cose nuove e vado a letto. strana malinconia tra felicità e tecnica.

Ah piove, ecco cos'è.


4:33:23 PM    comment []


Nonostante le mie buone intenzioni io non riesco ancora  ad essere attenta alla natura come vorrei.

E mi scuso molto per l’incidente di questa sera, ma con chi? Lui è morto e nessun  mio pardon lo farà tornare indietro.Ci sono mille modi per dire  mi dispiace, mi ricordo di un professore di un amico al liceo, dava un tema, parlate della luce, il tema prossimo era, parlate del palo della luce. Sì, mille modi per dire ogni cosa.

Comunque il mio defunto non che non lo meritasse, e proprio per via delle sue, di intenzioni! È vero però che non gli ho dato il tempo di attaccare e neppure quello di difendersi. Parlandone da vivo, era uno stupido, questo posso ben dirlo. C’era un suo amico nell’ex garage, oggi luminoso posto per macchine piccole e elettrodomestiche, lampade in attesa di essere piazzate, anche tutte le candele e qualche armadio, pieno zeppo di altre cose che non mi voglio raccontare

 –devo pur dormire di notte!- e quel suo amico io l’ho visto mentre accendevo la lavatrice, anzi un ripensamento sui giri della centrifuga mi ha fatto alzare gli occhi, quasi una ricerca di ispirazione perché, si sa, io con la lavatrice intrattengo un rapporto non ancora intimo, non sono ancora esperta nonostante ci dia dentro moltissimo,

e lì l’ho visto,al suo posto canonico, sul muro.

Ho segnalato la cosa a chi di dovere, all’addetto in casa, Kobi.

Mi ha risposto, ah sì? Ed è morta lì.

Lui invece, lo stupidotto, era in casa, e dove? Nella camera da letto e non al sicuro sul muro, come l’amico furbo, ma sul pavimento.Andava a piedi sul mio pavimento! Ora, con tutto il viavai che faccio io

tra il letto e il bagno, -lavato i denti? No, alzarsi subito!- e tra il letto qui sopra e le stanze dabbasso –è l’ ora dell’aulin, cosa ci mangio su ? Una mela che sta giu’ in cucina-

tra il letto il bagno e una sigaretta in giardino di dietro, tra il letto le scale e e una sigaretta davanti-  con tutto il mio andare e venire, il pavimento, perdio, andava evitato!

Chiedo troppo? Non credo, e così gli ho camminato sopra allo scorpione, con piede nudo deciso e  ormai calloso, veloce, splatt.


4:27:47 PM    comment []


In un film c’era una ragazza che stava per partorire, a minuti.

Era giovane e terrorizzata, non riusciva ad accettare l’idea di potere essere madre, camminava su e giu’

e nessuno di quelli intorno a lei era in grado di calmarla, di farla sdraiare.

Era come vedere un cervello impazzito, fisicamente messo a nudo.

Un giapponese che parla solo quello le si avvicina e le dice molte cose incomprensibili,

con dolcezza sorridendole e lei ecco si sblocca e piangendo gli racconta che non è pronta, non  è degna,

uno sfogo di parole a lui che non le capirà.

E poi e poi per incanto il pianto si fa lamento e la ragazza, liberata, si sdraia e prepara il suo corpo ad essere strumento di nascita.

 

Cosi’, sulla impossibilità di comunicazione, succede il miracolo del recupero di sé.

Questo mi è venuto in mente nel Duomo di Cortona, guardando gli otto confessionali doppi stretti

come celle di un alveare, scuri severi belli come grandi oggetti di un’epoca lontana che sdegna

 insicure mediazioni di medici e lettini, mobili da cinque stelline in negozio antiquario,

in cui un uomo vestito di un rito siede dietro a una tendina guardando fisso davanti a sè

e due penitenti ai lati

raccontano a se stessi i loro peccati, che li fanno sentire così male da ritrovarsi lì,

in ginocchio, davanti a una grata bucherellata da piccoli fori, che danno sul niente,

sul profilo di qualcuno che accoglie il loro brusio, a destra, a sinistra, senza la capacità di intenderli.

La risposta sarà due avemaria due pater e due gloria, se il penitente singhiozza forte la dose verrà raddoppiata

come cucchiaiate di sciroppo per tosse, o pillole da mandar giu’ non chiedendosi neppure di che erbe

sono fatte.

 

Una comunicazione impossibile, la medicina migliore, quella di cui dobbiamo renderci conto nella vita.

Una solitudine fondamentale per potere crescere e andare avanti.

Capisco ora il senso di quel pensiero, un Tao, che avevo letto distrattamente.

 

“Nel dono della venuta al mondo,
l'esperienza del reale non risulta
condivisibile in toto con chi ci è accanto.
Come può il sordo rivelare e condividere la sordità?
E' per noi quel grido improvviso di corvo,
quel sogno che ricorre da quando siamo bambini,
la canzone che canta la radio proprio in quel momento.
Nulla sarebbe stato se non fossimo stati lì,
a ricevere la realtà.
Il percorso è individuale, al pari
della nostra ascesa.”

 

Ecco perché mi piace stare nella stanza della cucina. Non devo ricordarmi niente di questo, è già in me.

Se qualcuno passa per uscire e mi chiede cosa mi serve dalla spesa, può fermarsi con me a bere un caffè,

succede che si offra di sbucciare un po’ di frutta per la torta. Si diranno due parole anche non in fila,

possono uscire domande che dentro ci stanno strette,

risposte come “mah” o addirittura “sì”.

E posso vivere  con tranquillità, un angelo puo’ perfino passare.

 

Di fianco al Duomo, il Museo. Dentro, l’Annunciazione del Beato Angelico. La grande stanza è allo scuro, ma scintilla di oro. Non lo sapevo. Quel quadro così conosciuto, visto sempre riprodotto,

è un altro e diverso, è una luce che non sta nelle fotografie. Le ali slanciate come lunghe spade sono colme di oro,

così denso e spesso che esce dalla tela, e così l’aureola e i fili nei capelli. L’angelo è una ventata di gioia

rossa e rosa e bionda, smuove l’aria verso quella piccola donna spaventata ma decisa a restare al suo posto non importa quel che succederà. E’ la lieta novella, ha un senso qui questa frase.

Lui le parla, parole scritte sul quadro gettate verso di lei, lei risponde, parole che da lei viaggiano a lui,

scritte contromano.

Un fumetto di  arte. La scena si appoggia su una storia raccontata

in fitti quadretti, troppo buio per vedere, quello che illumina tutto  è la luce delle tante aureole dei santi

e degli angeli lì sotto, piccole mezzelune turche gonfie di quell’oro in rilievo.

Se la religione a cui sono stata iscritta offre tutto questo, la cupa confessione e insieme la beatitudine dei sensi, accetto tutto, pago il prezzo che vale.


4:26:51 PM    comment []

© Copyright 2006 Marina Wiesendanger.
 


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