Marina Wiesendanger's
Radio Weblog

  14/01/2006; 0.19.36


sabato 3 settembre 2005


Ho aperto la porta della masseria, c'è un vento di scirocco che mi porta via, potrei volare in albania.
Albània, dicono qua.

L'altra sera era maestrale, vedevo le luci di là.
Sono uscita per la luna..non dico altro perchè non so fare le poesie. Però era rosa.

Anche, sono uscita mentre ero connessa a internet, per convincermi che questo gprs continua
a costare 25 euro al mese, non importa se è in funzione tanto, basta che sia dalle 6 di sera
alle 9 di mattina.
Il tuo orario! ha detto Kobi.
E sabato e domenica, come per pubblico impiego, libera!
posso aprire il comp alle 18 e chiuderlo alle 9 di lunedì mattina.
Posso usarlo in treno,
in piscina (anno prossimo) al mare e in macchina, in cortile e nella serra.
Posso ricevere sms a questo nuovo numero di telefono che ho, e che non so dove andare
a leggermelo. Quando lo trovo lo scrivo qui, magari qualcuno mi scrive.
Potrei anche togliere la scheda dal comp e metterla nel cell, sempre per 25  eu.. non credo
di farcela. 
Beh, bello. Lento lento a pubblicare, ma io ho fretta? no, solo di parlare, mica di leggermi.
Posso leggere con calma i blogs che mi piacciono, e che non so linkare.
Non ho piu' l'età per capire come si fanno molte cose in rete. Linkerei volentieri,
gli amici che mi piacciono e quelli che non conosco e mi piacciono lo stesso.
Potrei fare copiaincolla dei miei preferiti.
non provo niente di tutte queste cose nuove e vado a letto. strana malinconia tra felicità e tecnica.

Ah piove, ecco cos'è.


4:33:23 PM    comment []



Non mi dispiace tornare a Lecce, c'è un ristorantino piccolo dove si mangia  piu' che benissimo,
dicono il migliore e hanno ragione. E' come mangiare in casa di due zie, si chiama Le Zie,
una stanza quadrata con dieci bei tavoli con la tovaglia buona di casa.
La cucina è a vista,
su un lato del quadrato, puoi anche imparare a cucinare se ti siedi in modo da vederla.
La zia bionda, se ordini cicoria e favata, ti prende coltello e forchetta, ti mette i crostini nella
purée di fave, ti taglia la cicoria e la arrotola come spaghetti, infila il crostino entra nelle fave
e ne raccoglie un pò.
E poi ti imbocca.. e invita i pochi ospiti delle poche tavole, tutte complete sempre, a imparare.
Quasi tutti stranieri tranne qualche maggiorente locale, tutti felici che ridono, e mangiano,
siamo in un'altra dimensione, siamo tornati piccoli, e beati.

Alle pareti, quadri teneri di pittori di famiglia e poi pezzi di giornali, tutti! ELLE giapponese,
La Cucina Italiana, il New York Times.., tutti sono stati lì a farsi imboccare dalla zia bionda.
Quella bruna ti dà un vino sfuso e così nero che sembra tinto. E io metto qui il numero di telefono
per amore del prossimo.
0832 245178.
Le Zie non lo sapranno mai, ma tanto mi imboccano lo stesso, vale solo per questo piatto però,
ciceri e tria te li mangi da solo.

Ora telefono a Lina, a Porto Badisco, e prenoto spaghetti ai ricci di mare di suo fratello pescatore.
Per due, alle due.

 


 

Sono al quinto mese

 

Settembre andiamo

 

Mi hanno detto, piu’ di uno, ti dò tempo tre mesi, quattro perché c’è l’estate

e poi tutto questo ti mancherà orribilmente.

E invece sono al sud, e produco pensieri colorati.

E’ la luce che fa il sud, non la luce del sole ma quella del cielo. E’ come un’illuminazione.

Le pietre di tufo color crema sono anche

bianche e rosate, e se ci sono nuvole il bianco scintilla di piu’ perché rimane quello solo,

senza sfumature. 

Ti si accende dentro un’energia che ti pare di farne parte.

L’energia e la bellezza sono due cose che vanno insieme,

dev’essere che la bellezza ha una tale energia che non puoi fare a meno di parteciparla.

Ero lì a Trani, sul porto e ho visto tutto questo. Avrà aiutato quel quartino della casa,

così’ solo che è subito seguito l’altro quartino. Il piatto di mare e di terra, il pomodoro al forno col suo coperchietto e  impastato dentro losaddio che cosa, ma buono.. vicino stavano i polpetti e le acciughe

la rucola è selvatica, ha detto il capo della locanda sul mare –la Rosa dei venti, per i viaggiatori-

le melanzane in parmigiana come una fetta di torta, due mazzancolle un paio di fasolare,

insomma ho visto la luce davanti a me, vele e paranzine a mare, chi tirava la cima chi se ne andava,

due sulla banchina si sposavano, ahia quel vestito bianco di poliestere! Però poi è saltato fuori che era un pezzo di fiction.

Chissà perché  la fiction è sempre peggio della realtà. E sai cosa ti dico, ti dico menomale.

 

Abbiamo sceso l’Italia come in una vasca da bagno dove avessero aperto anche la doccia,

tutti insieme così quasi per mano dal centro fino a Caserta, la paura di tutti era un fumino

che si vedeva dai finestrini delle macchine appannati.

Potevamo fermarci tutti insieme, invece siamo andati avanti in formazione.

Sembravamo della Raf. Nessuno ha fatto lo spiritoso, la pioggia era la condizione

in cui eravamo imprigionati.

 

Il giorno dopo un sole lavato, e l’Italia evaporava tiepidamente. Fumavamo gli Apuani e gli Aurunci cercando di asciugarsi almeno le foglie.

Ma sul mare di Puglia non c’era una traccia di quello che avevamo attraversato a nuoto e a vapore.

 

Ho già fatto un bagno in mare stamattina, non in macchina, e preso sole, sole d'estate.

Anzi,

devo mettere un po’ di doposole in faccia, mi brucia già la pelle.

Ho già mangiato pane aglio olio e pomodori con un rosato del Salice Salentino.

Ora sono qui nella cucina di fuori , con la presa elettrica– questo fatto è da copiare- 

con un caffè una sigaretta

e l’amore mio il Gatto,

che si vede gli piace da morire la temperatura e l’assenza della banda dei cinque.

Gli voglio bene da tredici anni, lui è un animale così grande con molti difetti per un gatto, e in piu’ ha quelli che gli vengono dall’averlo tanto umanizzato nel tempo. Quando non c’è mi viene da telefonargli, e quando siamo insieme da soli molto spesso gli chiedo un parere,

è difficile che in qualche modo lui non me lo dia.

Quando ci sono altre presenze in casa, è un casino, in molti lo sanno.

 

Stiamo così bene, e così facilmente. L’acqua del mare è tiepida e c’è molta piu’ gente

che a giugno. Esco la sera con una maglietta, una delle due, perché ho portato lana

stavolta, e lo scaldasonno e comunque le pinne. Un curioso abbinamento, ha detto

il padrone della masseria aiutandomi a scaricare la macchina. Per tutte le stagioni possibili,

ho risposto io sentendomi un po’ scema in questa aria dolce di scirocco.

Non ho usato niente della strana coppia, ho sciaguattato in acqua celeste, c’era gente oggi domenica, ma all’una,

via tutti, bambini ombrelloni occhiali da sole stuoie. Si puo’ sempre contare sugli italiani.

Al tocco vanno a pranzare e ti lasciano sola, lì sulla spiaggia come un’acciuga in sale.

 



On the road

 

Non ci sono molti posti buoni come in macchina per perdersi nei pensieri. Se non guidi tu.

Kobi, dritto e con le due mani sul volante ormai da ore, ore dieci e dieci, mi chiede

senza guardarmi una caramella. Io senza commenti gli metto una Tac in mano.

Lui la trova la succhia e tace, io penso che: certo non si puo’ masticare una Tac, neanche se è arancio e se in fondo non è cattiva. Però una volta una caramella era un’altra cosa.

Si poteva dire, come la preferisci? Alla frutta, gelatinosa, ripiena di liquore o col cuore di cioccolato?

O anche, di che colore ti piacerebbe? C’erano cartine che la incartavano, di una bellezza

esagerata per un oggetto così piccolo. Erano, metti, rosa, alla fragola quelle, e il momento di avvolgersi  la carta diventava rossa, con piccoli ovali verdi, per descrivere il frutto di cui erano fatte.

E quelle croccanti, le Moretto? Bianche, con un disegno di negretto su, e la svolta sulla testa era

una corona di colori e striscie come un pareo africano. E com’erano buone? Cioccolato amaro intorno a un cuore di croccantino che restava tra i denti per un po’, gentilmente.

Le Ambrosoli, una retina di giallo e di rosso, col disegno dell’ape,

quelle piatte  quadrate, con gli angoli ripiegati come un lettino ben fatto, dentro zucchero e profumo di frutta, cedro rabarbaro limone.

Questa Tac colorata è una tomba, una lapide alla memoria. C’era una volta la caramella.

Adesso non piu’. TicTac. Molte cose sono così. Ho visto un po’ di Piccole Donne alla tv, la versione

di prima della guerra, credo, bianco e nero con Katherine Hepburn. Nuova per me, ero della generazione dopo ,il film  era già a colori, June Allison e Peter Lawford.  La storia racconta di 4 sorelle e una madre, povere e dignitose, fine 800. Erano senza mezzi e durante una guerra, ma che vestiti avevano! Gonne sottogonne colletti, maniche a sbuffo pettorine e nastri e guanti e cappelli.

Non costava proprio niente la stoffa? Adesso anche qui nella moda dei poveri e non, come per le caramelle. Abbiamo davanti un secolo senza décor.  

 

Per esempio ieri sera, arrivare a Caserta.

Caserta è una disgrazia a entrarci dal casello sud. C’è la Reggia, ma non ci puoi pernottare.

Penso, ma nessuno può? Neanche Elton John, o i Rollling Stones? Pagando s’intende. Madonna?

La regina d’Inghilterra? Quella sì, perdio, quella non le si può dire di no, è una casa come la sua solo piu’ a sud! Chissà.

Alla Reggia nei week end hanno uno spettacolo di notte, meraviglioso, si chiama Percorsi di Luce,

ti dànno una torcia e ti aggiri nel Giardino  Inglese ( appunto!) illuminato, poi davanti alle fontane

si fa musica e si canta la storia degli dèi, Diana e Atteone per esempio, e le luci sui volti di marmo e sull’acqua verde che scende nelle fantastiche vasche diventano veramente miti di un pensiero diverso.

Ma pioveva troppo, ci andremo alla fine di settembre, al ritorno del viaggio nel sud.

 

Il Novotel di Caserta è l’unico che al momento della prenotazione telefonica non fa un plissé

quando dico che ho un gatto e che porterei anche lui.

Nessun problema, mi dice un certo Francesco del desk reception.

Sono sollevata, fin qui due agriturismi che vantano il loro amore per la terra e tutte le creature del creato mi si sono rifiutati. Uno di questi mi ha risposto, “non è per il gatto, è per una

questione di principio”.  Mi viene voglia di dire i nomi, chi sono e dove stanno…lo farò solo su richiesta, qualcuno avesse un gatto anche lui e dovesse andare lì.

Entrare al Novotel e sentirsi a Parigi è un attimo. Uguale è quello del Charles de Gaulle dove

andavamo due volte l’anno, proprio adesso proprio adesso! a vedere la fiera di Maison et Objets,

a una sola fermata di Rer.

Non uguale il bar all’aperto però, qui è tutto diverso, l’aria è extracomunitaria, calda e africana.

La tequila invece uguale. Il pasto era diverso, ed era una tale schifezza che vinceva il suo

omonimo francese. Mi è dispiaciuto molto, una mozzarella cattiva, che quando mastichi ti chiedi, ma perché proprio a me, stasera?  a milano può non essere un caso,

a Caserta è imperdonabile e sbagliato. Ecchecazzo.


4:32:08 PM    comment []


Nonostante le mie buone intenzioni io non riesco ancora  ad essere attenta alla natura come vorrei.

E mi scuso molto per l’incidente di questa sera, ma con chi? Lui è morto e nessun  mio pardon lo farà tornare indietro.Ci sono mille modi per dire  mi dispiace, mi ricordo di un professore di un amico al liceo, dava un tema, parlate della luce, il tema prossimo era, parlate del palo della luce. Sì, mille modi per dire ogni cosa.

Comunque il mio defunto non che non lo meritasse, e proprio per via delle sue, di intenzioni! È vero però che non gli ho dato il tempo di attaccare e neppure quello di difendersi. Parlandone da vivo, era uno stupido, questo posso ben dirlo. C’era un suo amico nell’ex garage, oggi luminoso posto per macchine piccole e elettrodomestiche, lampade in attesa di essere piazzate, anche tutte le candele e qualche armadio, pieno zeppo di altre cose che non mi voglio raccontare

 –devo pur dormire di notte!- e quel suo amico io l’ho visto mentre accendevo la lavatrice, anzi un ripensamento sui giri della centrifuga mi ha fatto alzare gli occhi, quasi una ricerca di ispirazione perché, si sa, io con la lavatrice intrattengo un rapporto non ancora intimo, non sono ancora esperta nonostante ci dia dentro moltissimo,

e lì l’ho visto,al suo posto canonico, sul muro.

Ho segnalato la cosa a chi di dovere, all’addetto in casa, Kobi.

Mi ha risposto, ah sì? Ed è morta lì.

Lui invece, lo stupidotto, era in casa, e dove? Nella camera da letto e non al sicuro sul muro, come l’amico furbo, ma sul pavimento.Andava a piedi sul mio pavimento! Ora, con tutto il viavai che faccio io

tra il letto e il bagno, -lavato i denti? No, alzarsi subito!- e tra il letto qui sopra e le stanze dabbasso –è l’ ora dell’aulin, cosa ci mangio su ? Una mela che sta giu’ in cucina-

tra il letto il bagno e una sigaretta in giardino di dietro, tra il letto le scale e e una sigaretta davanti-  con tutto il mio andare e venire, il pavimento, perdio, andava evitato!

Chiedo troppo? Non credo, e così gli ho camminato sopra allo scorpione, con piede nudo deciso e  ormai calloso, veloce, splatt.


4:27:47 PM    comment []


In un film c’era una ragazza che stava per partorire, a minuti.

Era giovane e terrorizzata, non riusciva ad accettare l’idea di potere essere madre, camminava su e giu’

e nessuno di quelli intorno a lei era in grado di calmarla, di farla sdraiare.

Era come vedere un cervello impazzito, fisicamente messo a nudo.

Un giapponese che parla solo quello le si avvicina e le dice molte cose incomprensibili,

con dolcezza sorridendole e lei ecco si sblocca e piangendo gli racconta che non è pronta, non  è degna,

uno sfogo di parole a lui che non le capirà.

E poi e poi per incanto il pianto si fa lamento e la ragazza, liberata, si sdraia e prepara il suo corpo ad essere strumento di nascita.

 

Cosi’, sulla impossibilità di comunicazione, succede il miracolo del recupero di sé.

Questo mi è venuto in mente nel Duomo di Cortona, guardando gli otto confessionali doppi stretti

come celle di un alveare, scuri severi belli come grandi oggetti di un’epoca lontana che sdegna

 insicure mediazioni di medici e lettini, mobili da cinque stelline in negozio antiquario,

in cui un uomo vestito di un rito siede dietro a una tendina guardando fisso davanti a sè

e due penitenti ai lati

raccontano a se stessi i loro peccati, che li fanno sentire così male da ritrovarsi lì,

in ginocchio, davanti a una grata bucherellata da piccoli fori, che danno sul niente,

sul profilo di qualcuno che accoglie il loro brusio, a destra, a sinistra, senza la capacità di intenderli.

La risposta sarà due avemaria due pater e due gloria, se il penitente singhiozza forte la dose verrà raddoppiata

come cucchiaiate di sciroppo per tosse, o pillole da mandar giu’ non chiedendosi neppure di che erbe

sono fatte.

 

Una comunicazione impossibile, la medicina migliore, quella di cui dobbiamo renderci conto nella vita.

Una solitudine fondamentale per potere crescere e andare avanti.

Capisco ora il senso di quel pensiero, un Tao, che avevo letto distrattamente.

 

“Nel dono della venuta al mondo,
l'esperienza del reale non risulta
condivisibile in toto con chi ci è accanto.
Come può il sordo rivelare e condividere la sordità?
E' per noi quel grido improvviso di corvo,
quel sogno che ricorre da quando siamo bambini,
la canzone che canta la radio proprio in quel momento.
Nulla sarebbe stato se non fossimo stati lì,
a ricevere la realtà.
Il percorso è individuale, al pari
della nostra ascesa.”

 

Ecco perché mi piace stare nella stanza della cucina. Non devo ricordarmi niente di questo, è già in me.

Se qualcuno passa per uscire e mi chiede cosa mi serve dalla spesa, può fermarsi con me a bere un caffè,

succede che si offra di sbucciare un po’ di frutta per la torta. Si diranno due parole anche non in fila,

possono uscire domande che dentro ci stanno strette,

risposte come “mah” o addirittura “sì”.

E posso vivere  con tranquillità, un angelo puo’ perfino passare.

 

Di fianco al Duomo, il Museo. Dentro, l’Annunciazione del Beato Angelico. La grande stanza è allo scuro, ma scintilla di oro. Non lo sapevo. Quel quadro così conosciuto, visto sempre riprodotto,

è un altro e diverso, è una luce che non sta nelle fotografie. Le ali slanciate come lunghe spade sono colme di oro,

così denso e spesso che esce dalla tela, e così l’aureola e i fili nei capelli. L’angelo è una ventata di gioia

rossa e rosa e bionda, smuove l’aria verso quella piccola donna spaventata ma decisa a restare al suo posto non importa quel che succederà. E’ la lieta novella, ha un senso qui questa frase.

Lui le parla, parole scritte sul quadro gettate verso di lei, lei risponde, parole che da lei viaggiano a lui,

scritte contromano.

Un fumetto di  arte. La scena si appoggia su una storia raccontata

in fitti quadretti, troppo buio per vedere, quello che illumina tutto  è la luce delle tante aureole dei santi

e degli angeli lì sotto, piccole mezzelune turche gonfie di quell’oro in rilievo.

Se la religione a cui sono stata iscritta offre tutto questo, la cupa confessione e insieme la beatitudine dei sensi, accetto tutto, pago il prezzo che vale.


4:26:51 PM    comment []

© Copyright 2006 Marina Wiesendanger.
 


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