Marina Wiesendanger's
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  13/01/2006; 17.32.37


martedì 23 agosto 2005


Mettiamola così: sono qui in campagna da mesi e comincio a fare dannatamente sul serio.

Mi sembra. Comincio a immaginare il mio futuro molto qui. Non per niente mi ritrovo

con tre burri di cacao e, cambiando stanza, quattro cacchio quattro tubetti di acciuga Balena.

Fa parte della mia organizzazione a lungo termine, ho capito di aspettare ottobre come una promessa,

 perché settembre al mare, agosto mi sono venuti addosso come treni tanti cari amici, invitati da me mica da soli,

anzi me lo voglio dire meglio: non così sono venuti, era invece come stare sul ciglio della strada, ferma,

 e vedere passare una macchina da corsa in velocità, potente.

Ti manda un vento improvviso e forte, che tu barcolli un po’ e non sai dove appoggiarti.

Sì, così è piu’ quello che è successo a me. Arrivano da una direzione precisa e vanno secondo

quella. Si fermano il tempo di un soffio, non c’è tempo nei sette nei nove giorni,

abbastanza per fare una vera sosta e trovarsi sulla stessa pietra a chiacchierare come se la settimana non dovesse passare.

Ci sono molte cose da fare invece, tutte piacevoli e intanto è già finito. Un pit stop, un rifornimento

per loro, di aria acqua sole, di tante cene e risate, il momento piu’ bello non so ancora, a ricordarlo,

se è quando c’è casino in cucina, piccola stanza piena di noi che ci passiamo le cose da dovunque,

 siamo tutti a tiro di cose diverse, la pentola la pasta il coltellone il pane la mostarda il frigo il fuoco

l’acqua, o quando ci sediamo a tavola. Ma forse in cucina, lì è dove ci divertiamo di piu’,

tutti tesi nel comporre una cosa per gli altri. Tutte cose buone, c’è da dire, mi lasciano ingrassata e un po’ triste

quando se ne vanno, un’accoppiata perfetta nel suo dramma.

 

Luglio, dicevo, tanto da fare che neppure puoi permetterti di pensare. Mi affascina il dentro-fuori della casa,

piu’ fuori però, è davvero urgente, compresa la danza della pioggia, quest’anno devo avere esagerato..

 

Giugno non c’eravamo, al mare a fare noi quel vruum agli amici, di corsa e

anche troppo felici della vacanza, forse un po’ invidiati, un mese di mare!

È dal liceo che non lo facevo piu’, Kobi poi neppure quel ricordo, mai mai nella sua vita.

 

Maggio, una faticaccia! Un trasloco con i camion veri, cercare di capire qui se gli armadi possono stare nell’orto

magari con una  pittura speciale, ma quante scarpe abbiamo? Ma quanti golf? E

parliamo solo di cose estive, questa è la base guardaroba, la casina di campagna, ma dove le tenevo

a milano, ma che casa grande abbiamo in città! E che piccola questa..

 

Ottobre, sì. Ci saranno molte cose di cui occuparsi ma solo se non piove.

Anche questo devo imparare, che se piove non è come in città che te ne freghi e continui a lavorare.

Ieri, per non averci pensato, sono stata in una stalla di una cavalla per venti minuti, a guardare

il generoso mucchio della cacca di Chicchi, cioè di pecore di Chicchi, che lei gentilmente mi ha offerto

Per concimare l’orto d’inverno, le rose e i limoni. La cavalla era nocciola, sbadigliava per intrattenerci, ci faceva vedere come sono i  suoi denti e cercava di mangiarci qualcosa addosso, non avevamo niente di buono per lei.

Quando ha spiovuto ho detto, adesso! Mi guardano, sei scema? La cacca è tutta molla e pesa da morire.

 

Sì ho lasciato la mia grande città volontariamente. Non è poi grande, anzi il centro è una tazza di brodo ristretto,

ma se sei lì nel bel mezzo del consommè a lavorarci professionalmente sei collegata

a ogni vera grande città.

L’ho lasciata non in maggio, quando l’ho fisicamente lasciata, e neppure a natale,

quando ero felice in maniera vergognosa, infantile, soddisfatta come un bambino a natale.

 E neppure a settembre, quando c’era da prendere una decisione che  ufficialmente ho preso in questo aprile.

Dentro di me si è staccato qualcosa

un maggio fa, quando Kobi era sotto i ferri e io avevo paura di dover morire.

Lì si è creato un buco, che faceva passare una piccola luce per mesi e mesi fino a quando Kobi non solo era sano,

 ma stava meglio di prima, un’operazione veramente da fare. Quando guardandolo

improvvisamente ho capito che eravamo salvi –ma dove ero? A una fiera, a Parigi? No, non

mi ricordo- il buco si è lacerato, è diventato uno spazio nuovo.

E’ questo il cambiamento forse, certo ci devo ancora pensare, ma tra le mille salite e discese intorno alla casina

mi sembra che sia uscito questo pensiero.

Il cambiamento ti dice che vuoi piu’ spazio

nella vita per cose che ancora non puoi sapere, che sono dentro di te e non le hai usate ancora,

è il cuore che vuole allargarsi, la testa che vuole misurarsi su pensieri nuovi di zecca, l’istinto che

ti racconta che sei ancora viva, e allora vai e  vivi perdio!

Con tutti quei burri e acciughe, vedi di darti da fare.

Per esempio: è uscito il sole dopo trenta millimetri  di pioggia che hanno riempito la carriola.

Quindi esco e mi metto sulla sdraio con i piedi ordinatamente rilassati sullo sgabellino a righe.

Stasera arriva mia nipote da NY e domani saremo dieci a tavola. Ho tutto pronto, la casina è

bella pulita e fresca. Vado.


4:21:04 PM    comment []

© Copyright 2006 Marina Wiesendanger.
 


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