Le foto che non ho fatto, estate 2003
NANE
Già rivestito al tramonto –perché? se ne andrà da qui a notte fonda-
con una polo blu che gli ruberei anche se il blu addosso non mi piace,
instaura con me una discussione su Dio. In piscina. La cosa bella è che
nessuno interrompe nessuno, si parla quasi a turno avendo completamente
ascoltato l’altro. Non so se per educazione o per il gusto di vedere l’avversario
arrotolarsi sulle sue stesse parole.
Dopo un’arringa feroce e spinta, alla Nane, lui tace e mi guarda; l’ha detta
grossa e lo sa. Io faccio per alzarmi, volevo una sigaretta, lui equivoca e si butta
in acqua vestito.
Vado a prendergli una maglietta. Si asciuga e se la mette.
E’ un regalo per lui, una bellissima Madonna incoronata di rose con il bambino,
colori in quadricromia esagerata.
ITALO
Quando si va a cena in uno dei suoi due ristoranti è per mangiare bene, ed è sicuro,
l’altro motivo è per guardare attentamente come è vestito lui.
Benché amici fino da ragazzi, non ho mai osato chiedergli dove pigliasse le stoffe
per le camicie e, sopra tutto il resto, farfallino compreso, quel pezzetto meraviglioso
che è ognuno dei suoi fazzolettini che gli esce, con uno sbuffo di grazia, dal taschino.
Molte di noi farebbero tanto per averne uno. Forse non sarebbe una cattiva idea se lui
lo regalasse così, senza motivo apparente, una sera a cena e pubblicamente. Dato che
ad alcune fa il baciamano.
Glielo voglio consigliare.
Io qui in campagna l’ho visto arrivare in una calda sera di questo agosto.
L’unica concessione alla temperatura era un delizioso farfallino slacciato, a pois piccolissimi.
Lui era in bianco, perché estate, e rosso, per l’eroico viaggio e simbolo di grande e vivo affetto.
Mattino, piscina. Pallido come albume montato a panna, con la pelle liscia liscia come la sua mamma, mi è difficile ricordare che faceva box. Ha un due pezzi giallino a disegni cachemire,
delizioso, mezza manica e mezza gamba. Toglierà la giacchetta per bagnarsi. Oggi.
Domani, avendo i pantaloncini slavati dal poco cloro, indosserà tutto il completo perché stingano
in modo uguale, coerenti tra di loro.
Il colletto, largo, galleggia leggero vicino ai suoi grandi baffi, in una rana appena appena accennata.
ANTONIO
Andiamo a trovare i nostri amici, Antonio Patrizia Cate e Stefano. Quando andiamo?
Quando non piove, vogliamo il mare e vedere i tuffi dei ragazzi e mangiare sulla spiaggia e
chiacchierare tanto.
Come stai Patrizia? Bene, entro in ospedale domani.
Partiamo subito, arriviamo.
Antonio, piu’ che abbronzato è nero, come i suoi figli, è sulla piazzetta Leopardi, ha trovato per noi una stanza incredibile di fronte al palazzo, le stanze dove Silvia tesseva ( Italo!- al telefono- siamo a dormire da Silvia!
Chi è Silvia, chiede lui da Positano dove non gli piace stare, troppa gente, troppa barca, mangiano anche a mezzogiorno, forse torniamo da voi)
Voliamo in ospedale. Patrizia è lì, bella, bionda, tanta pancia e occhi celesti sereni.
Mi fa vedere le foto della bambina, ecografie. Tante, si capisce nulla tranne loro due che le sfogliano come un album.Forse partorirà domani, non si sa, un medico dice no, una dottoressa sì. Facciamo insieme un po’ di silenzio dopo tante novità. Guardo lei, guardo la stanza dove lei aspetta
con pazienza di sapere, e di fare. E’bella l’atmosfera, la luce, è tutto rosa come la piccola città. C’è un’aria leggera, si respira bene, mi sembra piena di forza e di speranza.
Mi giro a guardare Antonio per sorridergli. Mi giro ancora, ho visto bene? E’ pallidissimo.
MATILDE
La piccola ha deciso che no, oggi non è un buon giorno per nascere. Metto via la macchina fotografica.
Si va tutti al mare, lei con Patrizia Antonio Cate e Stefano, io e Kobi.
GROTTAMMARE
Andiamo lì a cena, dice Patrizia. E’ un po’ lontano, dice Antonio. E’ vicino a Napoli? chiede Kobi.
No, vicino a .., un’oretta neanche in giu’all’Italia.
Tutti insieme, aria condizionata e finestrini aperti, Patrizia immobilizzata davanti con Kobi che guida attento.
Cantiamo forte. Stiamo bene.
Grottammare è un ammore, vorrei fare una foto, piccolo paese in alto con stradine che nascondono giardini pensili
indiani. Bar arredati da Gualverio Michelangeli con cui Kobi fece mobili e relativa mostra.
Chiesa con vetrata celeste e bianca che ti viene in mente il manto della Madonna, piena di luce nella sera e commovente. Vorrei fare una foto. Di fronte nella piazzetta, Trattoria all’Arancio, il meglio dell’anno, seduti fuori o sotto i grandi e bassi archi. Noi sotto, molti fuori .
All’interno del ristorante Patrizia mi fa vedere la fontana, l’acqua viene naturale dal monte, fresca e buona da bere. Di inverno si mangia lì. Ora ci sono due tavoli, uno pieno di pane, l’altro coperto da candidi piatti pronti per essere riempiti. Vorrei fare una foto.
Fuori, Cate e io sempre a scorazzare in piazza, tra un ciauscolo e un uovo in camicia su crostino,
perché c’è una loggia con tre archi che dà sul mare, e non si vede la luna, ma solo la sua luce, una chiazza ovale gialla, fantastica. Siamo in molti a guardare. E in piu’, non si vede Marte.
Sono tutt’e due sotto le nuvole, che devono essere spesse, ma invisibili nel nero del cielo.
Anche a fare una foto non si vedrebbe niente.
E Antonio, finalmente, molla il coniglio per andare a vedere.
Il tempo che si risiede, e sbotta un temporale mondiale. L’aria è meravigliosa, e dimenticata da mesi. Fresco, anzi freschissimo, anzi non abbiamo nessuno portato un golfino? E viene giu’ l’acqua improvvisamente, non sulle nostre mani, che stanno con noi sotto gli archi. Ma sui tavoli della piazzetta, sui conigli non ancora assaggiati, sulle ceppe in ragu’, piena nei bicchieri, nei piatti ovali..
Ah se avessi potuto fare una foto! Avrei vinto il premio Titanic.
8:47:45 PM
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